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L’identità dei nostri quartieri e la città vista da lontano

Premessa: l’associazione Magnolia ha organizzato 3 giorni di eventi dal 28 al 30 settembre 2017 nella sua sede di Arangea con mostre, concerti, spettacoli e incontri. Venerdì 29 si sfora di poco l’orario del concerto e fuori la gente chiacchiera. Alcuni vicini non sono contenti e poco dopo arrivano i Carabinieri, più tranquilli di noi. Rossana Melito, la presidente di Magnolia, riassume egregiamente su Facebook il giorno dopo:

 

Reggio Calabria. 30 settembre 2017. C’è ancora chi festeggia 10 anni di attività associativa in un bene confiscato alla ‘ndrangheta (senza voler strumentalizzare nulla) e lo fa invitando tutti, lo fa attraverso l’arte, la musica il teatro invitando artisti, attori, musicisti e le loro opere. Si sa la cultura non è silenziosa. Chi si diverte non lo è mai. E “purtroppo” noi non abbiamo uno spazio chiuso come le case sigillate degli abitanti di Hamelin, come ci hanno raccontato ieri gli amici di Spazio Teatro. E capita di fare tardi (1 ora dopo la mezzanotte) ballando e cantando con i Mattanza, (come non farlo), capita che chi viene a trovarci si diverta e allora il silenzio non esiste più. Ma capita anche che alcuni vicini (sempre e solo quelli) passino dalle lamentele alle minacce perché anche solo quelle 4 serate in un anno scandite anche da concerti sono insopportabili. Giusto certo. SIGNORI dopo le 24 non si fa casino. Questione di rispetto ed educazione. Non bastano di certo delle scuse o le tante attenzioni prestate in questi eventi. Non bastano di certo le spiegazioni che molti amici e non solo (Grazie di cuore) aggrappati a quel cancello hanno cercato di dare agli amici vicini. Non serve nulla davanti alle parole “QUELLI CHE C’ERANO PRIMA SAPEVANO COME COMPORTARSI”. Ed arrivano i carabinieri ma arriva anche la torta, è passata 1 ora dalla mezzanotte, ė il 10° compleanno di Magnolia, si spengono le candeline ma noi no.

Giusto per essere chiari, chi c’era prima era l’autosalone di Palumbo Demetrio, esponente di spicco della cosca Latella. Lo stabile sito in Via Cafari è stato confiscato inizialmente nel 1997, poi definitivamente nel 2004 per poi essere assegnato parzialmente alle associazioni Magnolia e GAStretto nel 2011. Non sorprende sapere che le loro attività non facessero rumore, ma fa piacere che un po’ di sana musica ci distingua meglio dai precedenti inquilini, in caso ce ne fosse bisogno.

 

Premesso che comprendo in parte le ragioni di chi vuole dormire, non ci sarebbe nulla da aggiungere al post di Rossana Melito se non che un’altra frase quella sera mi ha fatto riflettere.

“Siamo fuori città, siamo venuti qui per stare tranquilli. In Via Marina va bene, qui non si può fare”.

Visto che non siamo e non saremo mai una discoteca e che i pochissimi concerti durante l’anno finiscono normalmente entro mezzanotte, mi chiedo da cosa nasce quel non si può fare e a cosa si riferisce esattamente? A questo punto mi fermo e mi chiedo per cosa sono davvero frustrata. Perchè sono stati inviati i Carabinieri senza motivo? No, sono scossa perché mi è più chiaro che la mia identità territoriale è diversa dalla loro. I parametri che definiscono la nostra rispettiva appartenenza alla città sono lontani, incomparabili e creano un divario che sembra incolmabile.

 

Con gli amici di una vita abbiamo raccolto fondi, progettato, passato giornate tra le zanzare per rimettere a posto un bene confiscato alla ‘ndrangheta in malora tirandone fuori un laboratorio culturale diventato un nuovo riferimento in città, dove tanti artisti si sono esibiti, dove abili cuochi hanno portato ottime cene pronte da condividere, dove con volontari da tutta Italia abbiamo preparato, pulito, pensato, ragionato su come rendere sempre più bello e accogliente uno stabile abbandonato. Tutto questo è avvenuto senza troppa curiosità da parte del quartiere e per qualcuno la priorità è rimasta quella di dormire. Ognuno definisce la sua identità ogni giorno con le sue scelte, proprio per questo, cari vicini, io vi capisco. Innanzitutto perché non siete molto originali, le stesse lamentele avvengono in altre zone di Rc – vedi attualmente il Circolo Venezia – e in tante altre città. Vi capisco non solo perché dormire è vostro diritto, ma perché quello che dite rispecchia perfettamente l’effetto della politica del “figlio unico della città”. L’espressione usata da Katia Colica nel suo libro “Il Tacco di Dio” è riferita al centro città di Reggio Calabria e mi ha sempre aiutato a capire molte cose di ogni città che ho abitato.

L’hanno detto in tanti in questi anni di malapolitica: il corso Garibaldi e la Via Marina sono considerati da sempre i figli belli da far vestire bene per far bella figura alla domenica. Ma dopo decenni di questo modello obsoleto, pur essendo chiaro che non funziona perché la città ha tanti figli e curarne solo uno o due non va bene, specie perché rischiamo di rimanere schiacciati in questa scissione territoriale dagli effetti sociali e culturali devastanti.

 

Amo Piazza de Nava, così come il Corso Garibaldi e la Via Marina, specie la notte con le luci riflesse. Bellissima. Eppure non mi dispiacerebbe bere una birra a Sbarre Centrali una sera così come, quando sono a Reggio Calabria, mi trovo spesso anche al CSC Nuvola Rossa di Villa San Giovanni e parteciperò con gioia al Fuoricentro Festival Periferie Creative ad Arghillà. E che dire dei Pagliacci Clandestini che ogni anno col Calabria Buskers portano artisti internazionali nella provincia di Reggio Calabria o di Catartica Care a Cataforio? Tanti gli esempi di battaglie portate avanti con determinazione e coraggio da realtà che mi rendono orgogliosa di far parte di Reggio Calabria proprio perché in loro riconosco una identità comune. Nulla di nuovo sotto il sole: Reggio ha problemi a definire la sua identità è vero, ma in tanti lavorano per contribuire a ricostruirla, perché il panino con la salsiccia e la processione non bastano.

Forse sono inquieta perché non accetto che il legame con i quartieri si riduca al voler stare tranquilli. Ci vuole poco per definire meglio il quadro: Arangea è un quartiere dormitorio così come lo sono altre zone della città. Tanto che quella sera abbiamo sentito anche sentito dire:

“qui non si può parcheggiare perché è sempre stato nostro e questa strada l’abbiamo fatta noi”.

Frase standard che risuona in diverse parti della città. Ad Arangea non c’è una piazza, ma una rotonda sulla quale sfocia uno svincolo autostradale. Chiesa e bar dominano lo spazio della socialità. L’antica villa che dà il nome al quartiere è sconosciuta ai più, abbandonata, chiusa dietro una rete, infestata da erbacce. Potrebbe essere uno spazio urbano unico, con vista sull’autostrada certo, appunto unico. Chi lo sa, un giorno…

Negli anni come tanti altri, ho potuto guardare la mia terra da lontano a più riprese. Come quando ci si allontana da un quadro impressionista, l’ho vista davvero solo a tanti chilometri di distanza, poi ho deciso di tornare, poi sono ripartita, forse un giorno ritornerò, ma questa è un’altra storia, personale ma non troppo perché spesso il personale diventa politico, si sa.


La nostra identità continua a plasmarsi con il lavoro che svolgiamo sul territorio, aprendosi sempre a chi dimostra apertura reciproca, senza preconcetti. Tanti vicini di casa di Magnolia e GAStretto sono venuti a trovarci per altre iniziative e altri lo faranno – speriamo soprattutto i bambini ! – perché crediamo di poter contribuire a dare nuova identità assieme a chi ci abita, anche ad un quartiere dormitorio, pur rispettando il sonno di tutti. Come ci hanno ricordato gli artisti sul palco del Laboratorio Radici, basta non dormire ad occhi aperti.

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