ferita

La Ferita

Giorno zero: l’operazione 

Mi mettono un camice col culo scoperto, proprio come si vede nei film, penso. Sto dieci minuti in corridoio. Le infermiere parlano di me. Non hanno voglia di depilare la zona interessata oltre quel poco fatto da me. Il dottore arriva con la sua valigetta. 

L’anestesia locale fa male e non evita né il dolore dato degli ultimi punti dati dal chirurgo, né quello delle sue battute sessiste. “Ma si fa per scherzare” mi dicono le infermiere. 

Una di loro, poraccia, ha il compito più ingrato: chiacchierare con me per evitare che la mia tensione si sfoghi sulle mie mani che a loro volta premono sul mio sterno. 

Ok, lo ammetto: sono tesa anche se sto facendo un piccolo interventino. Non parlo come Ned Flanders, si chiamano proprio così “piccoli interventini”, giuro. Almeno cosi è nell’ospedale del comune di Bentivoglio nella bassa bolognese. 

Sono tesa perché qualcuno ha legittimamente aperto un pezzo del mio corpo, tagliandomi col mio consenso e ravanato per rimuovere cose che non ci dovrebbero essere è che voi umani blablabla. 

Dopo 10 minuti di ravanamento, si passa al taglia e cuci. Il mio punteggio è “almeno 12 punti”. Manco il numero esatto per vantarmi in giro. Battezzo 12 che è il numero degli apostoli e io alla simbologia ci credo. 

Esco con l’invito “tienila asciutta la Ferita”. Nulla di più. Sono di nuovo seduta nel corridoio. Poi al bar dell’ospedale dove raccolgo qualche sguardo di pietà da parte degli anziani presenti visto che mi muovo come fossi al sesto mese di gravidanza, ma in realtà è solo birra. 

Giorno 1: occhio non vede

La Ferita decide il ritmo: mi siedo piano, mi alzo piano, mi corico piano, le ovaie mi girano piano. Non posso accavallare le gambe e non riesco a guardarla. Dormo male. Stimo ancora di più chiunque abbia affrontato qualunque tipo di intervento chirurgico. 

Giorno 2: infermieristica base 

Ancora non ci siamo guardate in faccia. Ma qualcosa mi dice che è arrivato il momento di cambiare le garze. Lo faccio da in piedi, sempre senza guardare, per carità che schifo. Risultato: ho sudato molto e la fasciatura è venuta male. Però, nuove skills per me: ho capito che quando faccio pipì devo inclinarmi su un lato per non bagnare la fasciature. Pronta ad aggiornare il mio profilo LinkedIn.

Giorno 3: narrazioni e incontri

Sono a casa da tre giorni. Ho raccontato l’operazione a diverse persone che mi vogliono bene e a cui voglio bene. Con ognuna di loro, ho adattato l’intensità della storia e selezionato i dettagli da condividere. Certo, avrei potuto dire a mia nonna che il chirurgo di 60 anni ha fatto commenti sul fatto che sono single mentre la sua testa era perpendicolare al mio pube. Ma meglio farlo di fronte a un caffè. Ne parlo e ne riparlo e alla fine, io e la Ferita ci incontriamo. Ci sdraiamo e collaboriamo per fare una nuova fasciatura che, vi dirò, mi rende orgogliosa. Mi sento pronta per giorno 4. 

Giorno 4: l’evasione

Quella complicità con la Ferita mi inganna. Cedo a una mezza giornata di socialità durante la quale cammino un po’ di chilometri per un po’ di musica. Ma non ballo, lo giuro vostro onore! La sera lei si fa sentire.

Io ormai mi sono assuefatta a quell’odore misto di sangue e sudore e mi dico che va tutto bene. 

Giorno 5: il senso di colpa 

Per farmi perdonare della movida di giorno 4, passo giorno 5 a casa. Provo a riconnettermi con la Ferita, rifaccio la fasciatura, la guardo. L’intrico di fili e pezzi di pelle mi ipnotizza. Glielo dico, ma lei è ancora un po’ arrabbiata, si crede la madonna e piange sangue. 

Giorno 6: l’irritazione 

Devo necessariamente andare a fare la spesa al mercato, non voglio delegare ai miei amati coinquilini. E’ tornato il caldo e scopro di avere la pelle delicata. Lo scotch che fissa le garze alla coscia e ai glutei mi ha lasciato dei significativi segni rossi. L’irritazione diventa protagonista e la Ferita passa in secondo piano. 

Giorno 7: tracce 

Mi concedo 2 ore di socialità. Lei è ancora indispettita per l’irritazione che le ha preso la scena. E si vendica così: la fasciatura si stacca per metà e si sporca della mia urina. Allora la tolgo, ma piano perché sono irritata e la butto nel bagno di in un locale della zona nord bolognese. Ho dei pantaloni larghi e non dico a nessuno che la Ferita è scoperta.

In realtà, lei vuole respirare completamente, ma in quel momento io non l’ho ancora capito. 

Giorno 8: fasciatura minimal

Con una lavatrice mi illudo di rimuovere quell’odore di sudore, sangue e disinfettante. Decido per una fasciatura più leggera, minimalista. Deve durare solo un’ora di socialità. Poi a casa, finalmente, la faccio a respirare. “Fatti bella” le dico. “Domani è il grande giorno”. 

Giorno 9: (dis)illusioni

L’ho detto a tutti: oggi il personale medico dell’ospedale rimuoverà i punti che hanno unito i lembi della mia pelle per facilitare la rigenerazione dei tessuti e la rimarginazione di Ferita. Il processo più organico che ci sia. E invece no. Due infermiere allarmate chiamano una dottoressa che si allarma e mi rimanda a casa con i miei “oltre 12 punti”. Rimandata a lunedì. 

Scopro che la Ferita non era arrabbiata. Era viva. E raccontava cose che io non capivo. Il sogno della tanto attesa doccia per intero che ero convinta avrei potuto fare oggi, svanisce. Inoltre, ho un’illuminazione: avrò il segno della cicatrice 4 ever. Due lauree signori e signore, due lauree e ci ho messo 9 giorni a fare questo pensiero.

Giorno 10: il pranzo di famiglia

Non posso mancare. Faccio una fasciatura 2.0: leggera con un nuovo scotch DELICATISSIMO e uno strato speciale, donatomi dalla dottoressa allarmata. Ma la voglia di giocare sul prato con mio nipote è più forte di tutti questi trucchetti e la mia creazione dura due ore. La sera devo salutare un’amica. Ho capito che alla ferita va bene la socialità, ma solo quella vera.

Mi manca quel senso di intimità per cui riesci a mostrare ad alcune persone le tue ferite senza vergogna. 

Giorno 11: preghiere 

Mi concedo un racconto live con un’amica. Ma, visto che non ho nessuno con cui condividere quella intimità che io, la Ferita e gli oltre 12 punti vorremmo, dedico il resto della giornata a farle prendere aria. Anche perché ci sono 30 gradi. Domani potrebbe essere un grande giorno per me e anche per le lobby del petrolio visto che questo è il mio terzo viaggio all’ospedale di Bentivoglio dall’inizio dell’anno. 

Giorno 12: perdo punti

Il lunedì, da qualche tempo, è per me un grande giorno. E questo non è da meno: un dottore originario di Reggio Calabria decide che si, è il momento di togliere i punti alla Ferita. Lo decide in pochi secondi, poi si dedica a chiedermi conferma che io sia davvero di Reggio Calabria e dirmi che anche lui viene da lì. Poi vuole sapere se dato il mio cognome, ho un fratello. Un’informazione che recenti studi scientifici hanno dimostrato essere fondamentale per la ripresa post operatoria. Mentre rispondo titubante a queste domande, inutile che lo dica, le infermiere lavorano lì dove non batte il sole. Tranne che se andate nelle spiagge nudiste, in quel caso il sole batte anche lì. La fasciatura delle premurose infermiere dura due ore. Nessun nuovo record. Ma tanto io so che vuole prendere aria. Chiedo: posso fare la doccia, ora vero? Il dottore “si, puoi fare la doccia, ma non devi bagnare la Ferita”. Io avevo dubbi sulla mia capacità di combattere questa cosa della forza di gravità. Quindi ho continuato a lavarmi similmente a come mi sentivo: a pezzi.

Giorno 13 e 14: groviglio

E poi succede sta cosa qui che oh, non ci credete. Ero così presa dal fatto di stare male che ci metto un po’ a capire che comincio a stare di nuovo bene, davvero.

A volte i fili si aggrovigliano e per rimettere ordine bisogna togliere tutta la matassa.

Giorno 15: piccole cicatrici crescono

Ritorno a Bentivoglio per un controllo. Accortezze non ordinarie, scopro. Le infermiere si ricordano e una vede un intruso. Un pezzo di filo aveva deciso di restare lì a farmi compagnia. Lo toglie il dottore in persona. Che onore, paisà. Il dottore mi comunica il risultato dell’esame istologico. Non ho ben capito cosa sia, ma bleffo bene perché devi saperle ste cose. Tutto ok, ma c’era un corpo estraneo dentro di me. In che senso un corpo estraneo? Che è successo? Chi è entrato? Chi siete, cosa portate…un fiorino! Non lo sapremo mai, ma ormai è andata. Saluto tutti vittoriosa, mi regalano una confezione di garze, imperdibile souvenir. Festeggio con un giro in bici, ricomincio a fare esercizi e, soprattutto, FACCIO UNA DOCCIA PER INTERO DOPO DUE SETTIMANE. Posso dire quella cosa che si dice in questi casi? Certo, è il mio blog che non legge nessuno.

Le piccole cose sono importanti. Se non ci credete chiedetelo alla mia Ferita che, ormai, è una giovane cicatrice.

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